Un villaggio distante da ogni cosa, a 120 Km a nord di Nairobi. Una missione guidata da Sorelle tenaci e combattive, con a capo Suor Nadia, dell’ordine delle Piccole Figlie di San Giuseppe. La terra rossa sembra quella dello Tsavo. E poi, montagne e un ruscello, 550 bambini orfani, un asilo, una scuola primaria e una scuola secondaria. L’acqua calda per la doccia si trasporta nelle taniche. E c’è un dispensario, che serve anche gli abitanti dei villaggi poveri circostanti. Siamo a Ndithini, tra le colline del massiccio dell’Ithanga. Qui, molti anni fa, si è rifugiata la tribù degli Akamba, seguita da alcuni Kikuyu. Guerre tribali e la lotta delle multinazionali per la coltivazione dell’ananas hanno reso la vita difficile in queste colline aride e malariche. Finché non sono arrivate le missionarie a cambiare il destino di queste persone.
Là dove finisce il mondo, inizia il cielo e la vita ha i colori del Kenya. Colori vivaci e aspri, come le storie dei tanti bambini accolti nell’orfanotrofio, strappati a esistenze crude e reali. Bambini nati malati di Hiv, bambini abbandonati, rifiutati. Bambini non curati, con il corpicino devastato dalle piaghe dell’Aids. Come Tipo, nemmeno un anno, da poco salvato dalle missionarie. Appena accolto, ha iniziato la terapia per l’Aids. Tra poco le piaghe spariranno e rimarrà solo il suo bel sorriso. Un sorriso vitale, che ti coinvolge dal primo momento nella sua gioia di vivere. Perché Tipo vuole vivere, malgrado la sua famiglia lo stesse facendo morire, e non perde occasione per manifestare entusiasmo e attaccamento alla vita con la sua allegria e il suo desiderio di essere abbracciato e di saltarti addosso, di giocare, di sorridere con occhi luminosi a chiunque incontri.
Tipo è alla sua seconda nascita. E le sue mamme sono le Sisters che si occupano di lui e che gli hanno ridato la vita. L’amore, in questo villaggio sperduto, raggiungibile solo attraverso lunghissime strade non asfaltate e con ciottoli giganteschi, parla una lingua universale, che arriva da dentro. Una lingua primordiale, fatta di sentimenti e cuore.
Fuori scorrazzano normalmente animali di ogni genere: polli, galline, cani handicappati, gatti scheletrici… la sera ci fa visita una scimmia, che si arrampica sul tetto di compensato e lamiera della casa. L’alloggio dei volontari e degli ospiti sembra quello di un Van Gogh africano, con pareti dipinte di colori accesi.
Tutto è difficile, eppure tutto qui sembra così spontaneo e normale. La giornata è scandita da tempi naturali. Il sole sorge e il villaggio si sveglia presto con i galli che cantano. Già alle sette è tutto un viavai di ragazzi che vanno a scuola, un vociare felice, attività che iniziano: chi fa il pane, chi scalda l’acqua nei pentoloni, i muratori che stanno costruendo qualcosa. Una riflessione arriva diretta come una freccia… e fa riferimento al nostro stile di vita occidentale, consumistico, improntato alla carriera, al raggiungimento di beni materiali… non ci manca niente, apparentemente. Ma chissà com’è, il cuore non batte più dove tutto puoi comprare ed ottenere, affannato a rincorrere un tempo che non basta mai, status symbol che si rinnovano per creare un circuito di dipendenza, slang che si perpetuano, da articoli di giornale a libri, per diventare lingua imperante a scadenza.
Qui non leggo. Non solo perché non ne ho il tempo, ma perché qualunque libro mi sembrerebbe inutile. Sono troppo indaffarata a respirare l’aria del villaggio, ad osservare i movimenti e gli sguardi carichi di vita, a comunicare con il cuore. Questo è già un libro, anzi dieci… E’ già la sceneggiatura perfetta di un film, il più bello.
Non è la mia prima volta in Africa. Ed ogni volta mi conquista, mi spinge ad organizzare il prossimo viaggio, a spingermi sempre un po’ più in là. Dai villaggi poveri che circondano la famosa Malindi, con condizioni di vita che non immagini a pochi metri dai resort, storie che non smettono di colpirti, malgrado tutto. Lì ho visitato per la prima volta, anni fa, l’orfanotrofio di Mambrui, a cui si dedica una Onlus che aiuto, gemello di questo qui. Lì ho iniziato ad amare questi bambini meravigliosi e le loro storie dannate, la loro forza interiore. Due di loro, le piccole Ippolita e Nadia, sono state trasferite a Ndithini. Grande il desiderio di rivederle e di conoscere la loro, la nostra Suor Nadia. Non potevo non arrivare fino a qui. Non potevo non raccontare al maggior numero possibile di persone delle realtà che in pochi raccontano. Realtà dimenticate, dove la vita pulsa con forza e determinazione, seguendo il suo corso, deviato da queste donne coraggiose che hanno scelto come missione di vita la dedizione agli altri.
Benvenuti a Ndithini, dove inizia il cielo.
Mi piace lo trovo semplice ma penetrante!!
Grazie Adriana.