“Quando mi sentivo sola e sperduta, ci voleva tutta la mia forza di volontà per ritornare indietro, per controllare il dolore, che mi conduceva fino al cuore. Fui allontanata dalla stanza, chiusi gli occhi e strinsi i pugni, pervasa da un’ondata di panico”
Uccidere un figlio. Reato contro natura per eccellenza, per l’opinione pubblica. Eppure, esiste in tutte le civiltà ed epoche storiche. Da Clitemnestra a Medea, le tragedie greche già rappresentavano i reati femminili. Il tragico greco ha visto subito che il crimine nasce da una logica interna, emotiva e passionale. Le azioni cruente, suggeriscono gli studiosi, vanno lette in relazione alle ingiustizie subite.
Le donne considerate come vittime silenziose, che hanno subito privazioni, ingiustizie fin da un lontano passato, possono trasformarsi in carnefici.
Loro qui dissero: ‘Tu non sai quello che hai combinato’. Io dissi: ‘Io non ho combinato niente. Non ho combinato niente. Che cosa ho combinato?
Io: Lei non si è resa conto di niente?
‘Ma no, perché io non sfiorerei una persona neanche in faccia: non so’ capace. Perché io c’ho troppa bontà dentro di me, so’ troppo buona… Io se c’avessi un bambino, guai a chi me lo toccherebbe… anche se fosse preso in adozione”.
Sembra che sia, secondo gli psichiatri, il narcisismo ferito a determinare disagio mentale e reato. Reazioni incontrollate, irrazionali e apparentemente folli, come uccidere un figlio, hanno invece le loro radici nella psicologia e nella psichiatria.
“Adesso a febbraio faccio 49 anni… mi è morta mia madre a 3 anni… a 4 anni ho avuto un incidente stradale, stavo quasi per morire”
“Lui era un po’ malato, non si curava mai.. mi picchiava, mi menava… stavo male, stavo male dentro di me”.
Diventare donna è molto più complicato che diventare uomo, sottolineano gli psichiatri. A parte l’adolescenza che superano insieme, la stabilità della donna è poi minata da una serie di cambiamenti ciclici.
E la gravidanza, non sempre è fonte di gioia. Soprattutto dopo il parto. Avere il sostegno adeguato accanto e’ fondamentale.
“Ho ferito mia figlia. Però non è morta, è viva. Adesso ha 27 anni.
Io: Viene a trovarla?
Non mi vede più. Non viene. Non mi ha perdonato”.
La donna deve costantemente far fronte a cambiamenti della sua identità: prima madre, poi lavoratrice, diventa spesso l’anello più debole della famiglia e della società, perché il suo lavoro é eccessivo e complesso. Perciò è più esposta a depressione, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare ed ansia. Alla fine, si ritrova sola tra la gente.
(Testimonianze delle pazienti, malate mentali che hanno commesso crimini, dell’Opg di Castiglione delle Stiviere. Considerazioni di psichiatri e psicologi estratte dal Terzo Congresso Nazionale dell’Opg su “La donna da vittima ad autrice del reato”)