M.: “Dopo che ho partorito il mio bambino sono entrata in crisi post partum, sentivo le voci… pensavo di uccidere il demonio. E, invece, ho ucciso il mio bambino”.
Io: “Oggi come si sente di fronte a questo?”
“Mi sembra una cosa assurda, non so come sia potuto succedere”.
A vederla, Maria (38 anni, il nome è di fantasia) sembra una persona come tante. Graziosa, capelli lisci biondi, bocca carnosa, dolce e misurata. Eppure, ha ucciso il proprio bambino di poco più di due mesi. Come sia potuto succedere, Maria ancora se lo chiede, nella disperazione della sua attuale lucidità.
“Appena successo il fatto, mia sorella è venuta a trovarmi in ospedale. Io le ho detto: ho fatto bene, no? Ho ucciso il diavolo. Non mi rendevo conto…”
Succede quando la mente è fuori controllo e perde il contatto con la realtà. Stato di psicosi, per esempio. La malattia mentale può colpire senza preavviso e può avere conseguenze irreversibili, come un omicidio. Dei quasi 300 pazienti di Castiglione, il 60% ha commesso reati contro la persona: da maltrattamenti ad omicidio. Delle 82 donne (che solo qui vengono ospitate), molte hanno ucciso il proprio figlio.
“Mio marito mi ha abbandonata. Dopo tre mesi si è rifatto un’altra vita. L’altra mia figlia è stata affidata ai nonni paterni. Mi hanno levato la patria potestà. Lavoravo come operatrice socio – sanitaria e mi piaceva tanto. Pensavo che l’amore di mio marito avrebbe superato ogni problema, dopo 15 anni. Invece, non ho più una famiglia, non ho più una casa, non ho più un lavoro…”
Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, un anno dopo. A pochi mesi dalla chiusura definitiva degli Opg in Italia (6 in tutto), prevista per legge entro il 31 marzo 2013, la situazione sembra ancora essere in alto mare. Le strutture territoriali per non più di 20 persone, non sono ancora pronte. I fondi (174 milioni) sono stati approvati nella Conferenza Stato – Regioni, ma l’intesa non è ancora operativa. Intanto, può capitare che una sentenza del giudice preveda il ricovero, di una persona dichiarata incapace di intendere e di volere, nelle nuove strutture territoriali. Va a finire che la sentenza debba essere corretta e che il paziente finisca nell’Opg, che continua ad accogliere e a dimettere come nulla fosse.
“Lei si è perdonata”?
“No. Ho ancora voglia di vivere, sono giovane, spero di essere più fortunata nel futuro. Ma non mi perdonerò mai. E’ troppo atroce quello che è successo”.
L’Ospedale psichiatrico giudiziario di Casiglione delle Stiviere è un punto di riferimento, un modello per il futuro. Oltre al costante ascolto psicologico e alle cure psichiatriche, ci sono attività volte alla cura e alla riabilitazione del paziente. Si portano avanti laboratori sartoriali, di giornalismo, di cucina, di meccanica, di cura dell’orto. Si lavora, a turno, al bar o alla mensa. Si fanno piccole commissioni. Si può usare una palestra e, d’estate, anche una piscina all’aperto.
Attività importanti per i pazienti, che oltre a responsabilizzarsi e a sentirsi sempre più vicini alla società, imparano ad avere a che fare con le regole. Le stesse che, un giorno, alcuni di loro affronteranno davvero.
“In futuro, mi vedo con un lavoro, soprattutto, con una famiglia, con dei figli… con la famiglia che non ho mai avuto”. Luigi (il nome è di fantasia), ha poco più di 20 anni. Ha commesso un omicidio. E’ stato prosciolto perchè dichiarato incapace di intendere e di volere al momento dell’atto. Ora si sta curando. E sembra essere a buon punto. Ci tiene molto a studiare, ad allenarsi in palestra, ad essere aggiornato. Ha un’ottima proprietà di linguaggio.
Dall’interno della giacca si intravede un libro. Per rompere il ghiaccio, gli chiedo cosa sta leggendo: “E’ Memorie di un folle di Flaubert”, ci spiega Luigi. “Lo ha scritto a 17 anni l’età dell’adolescenza. La mia è stata piena di traumi e di sofferenze psichiche.. tante.. non ho potuto vivere con la mia famiglia.. “.
Luigi fa fatica a parlare. Pesa attentamente ogni parola. Fa attenzione che il racconto della sua storia non suoni come una giustificazione a quello che ha fatto. Chi di loro sta riconquistando equilibrio e ragione, in realtà si colpevolizza atrocemente. Luigi è a buon punto: riesce a non identificarsi soltanto col ragazzo che ha ucciso lo zio in stato di psicosi: “Io mi considero un ragazzo che è stato colpito dalla malattia mentale. Ma ne uscirò vincitore, alla fine”.
Racconta della sua crescita (davvero difficile) solo se incalzato e fuori dalla telecamera. Perciò, non la riporto.
Riporto, però, le parole che L. pronuncia con precisione e rigore, come se fossero una formula matematica: “Ne verrò fuori con le mie qualità e con le mie capacità, dimostrando quello che sono e che posso dare. Voglio ritornare, come è il mio sogno, in società”.
Le nuove strutture dovrebbero aiutare ancora di più le persone che riescono ad essere curate con successo. Saranno più piccole, e perciò con la possibilità di seguire meglio i pazienti. E saranno regionali, per cui ogni malato si troverà vicino a casa e, per chi ce l’ha, vicino alla propria famiglia e alla vita prima del reato.
” Qui ci sono i campi da tennis, pallavolo, piscina, palestra. C’è anche la possibilità di svagarci – dice Maria. Si sa quello che si lascia, ma non quello che si trova”.