31 dicembre 2012. Mentre quasi tutti si preparano al veglione di Capodanno, loro sono ordinatamente in fila, al freddo, per mangiare.
Fuori hanno figli, fratelli, parenti. Una famiglia che, spesso, li ha dimenticati. Alcuni hanno fatto scelte sbagliate. Spesso hanno accettato lavori al nero ed oggi sono senza tutele. Magari era l’unico modo per lavorare, chissà. Molti di loro, il lavoro l’hanno perso.
Il parroco li chiama ‘gli ultimi’. Perchè, non l’ho capito. Sfortunati, magari. Ma non ultimi. Perchè implica un giudizio di valore su qualcosa che potrebbe capitare a tanti. Il comun denominatore è che sono in difficoltà. Che soffrono. E che sono soli.
Il gruppo di volontari della Caritas protegge queste persone. Assicura loro un pasto, un tetto, l’ascolto, il sostegno psicologico. Non la serenità. Quella è da cercare dentro. E la luce, a tratti, sembra essere spenta.
Ci si ravviva dentro alla mensa. Il tepore, il sorriso dei volontari, lo scherzo, una pacca sulla spalla. C’è il pittore, che ci lascia il suo biglietto da visita. Vedere una giornalista con la troupe lì, per lui, è un evento sociale. Cogliere al volo le opportunità. Giusto.
La badante di mezza età, malata alla spalla senza speranza di guarigione, non vede un futuro. Non potrà più sollevare i suoi vecchi per lavarli. Ha accettato di lavorare al nero per mantenere agli studi una figlia a Londra, che oggi si è laureata. Non riesce a trattenere le lacrime di dolore. Ha paura. ‘Paura della strada’, la definisce. Talmente tanta paura che il pianto è quasi l’unica forma di comunicazione per lei, oggi. E ci tritura lo stomaco.
Si mangia, si abbozza un sorriso, ci si prepara alla festa. Una tombola musicale.
Ad un tratto, tutto sembra più facile, sulle note del rock puro. I volontari adolescenti si scatenano in balli, mentre ‘loro’ si lasciano trascinare da questa strana euforia. Per una notte, per qualche ora, ci si può anche scordare della propria infelicità. Riporla lì, in un angoletto, per ascoltare le melodie di Claudio Baglioni. E farsi trasportare, dalle note di ‘Questo piccolo grande amore’, a qualche ricordo di gioventù, chissà… a qualche speranza… magari ad un sogno…
La musica unisce. Come il gruppo. Fa sentire meno soli. La signora bionda col rossetto rosso acceso si dimena sulla sedia. Non trattiene gridolini di gioia per il coro musicale, che si è creato spontaneamente.
Qualcuno è quasi imbarazzato nel sentirsi vivo. Talmente abituato alla sofferenza, che quel momento di svago è un lusso sconosciuto. I muscoli del viso pian piano si distendono. La bocca serrata inizia a bisbigliare qualche parola. Poi, la musica scorre nelle vene. Ed è più forte della disperazione. E’ incanto. Magia. E’ amore. Lo stesso dei loro sguardi. Come tra le braccia dei genitori. Quei genitori che la badante vede negli operatori. Due grandi braccia che ti proteggono dal mondo.
Per stasera, per qualche ora, le braccia ci sono. Auguri.