In questi giorni si parla molto della ragazza di 23 anni, Carlotta Rossignoli, che si è laureata in medicina prima dei tempi, che lavora come modella, che fa tv, viaggia, pratica sport, dorme poco per ottimizzare i tempi e non perde tempo con una relazione sentimentale, che la distrarrebbe dai suoi obiettivi.
Tanto si è parlato della distinzione tra merito e privilegio, frequentando la ragazza una università privata.
Molte firme, sostenendo un sistema che si autoalimenta, si sono prodigate in interventi sui maggiori quotidiani in difesa della giovane, oramai vittima di se stessa e della sovraesposizione mediatica messa in moto.
A mio parere c’è poco da celebrare e anche da invidiare a questa ragazza, che vedo come una vittima involontaria da aiutare e non da criticare o osannare.
La narrazione che vuole premiare chi arriva prima, velocemente, senza consapevolezza interiore del proprio percorso, senza averlo elaborato e senza averlo vissuto in tutte le sue tappe è il simbolo di un sistema in tilt.
Considerare la vita come una gara non ha senso, per la persona e spesso – a lungo andare – neppure per i risultati raggiunti.
Ogni obiettivo raggiunto (e non) nella vita è il complesso risultato di impegno e di abnegazione, ma anche di tutto ciò che gli ruota intorno nelle giornate: esperienze ed emozioni condivise con altre persone, tempi investiti in spostamenti e pianificazioni, storie d’amore che finiscono, tempi di silenzio rigenerativi e riflessivi, quel voto più basso o quell’esame andato male, che ti permette di conoscerti meglio, di fare un punto con te stesso, di superare un tuo limite o semplicemente accettarlo.
La retorica del vincente ad ogni costo, delle tappe bruciate, della rincorsa all’obiettivo, del modello di perfezione assoluto è una trappola.
A volte ci vuole più maturità, coraggio e forza per fermarsi che per andare avanti.