“Mamma, andiamo in piscina?”. ” E’ chiusa, amore”. “Andiamo a mangiare le patatine fritte?”. “Non si può”.
Arianna non capisce come mai le sue abitudini, corazza e sopravvivenza per scandire le giornate, si siano di punto in bianco vanificate. Coronavirus, per lei, è una parola vuota di significato. Ha smesso di mangiare, di dormire. Spesso urla. Talvolta diventa violenta. Ha 25 anni e il disturbo dello spettro autistico. Anche l’epilessia, per non farsi mancare nulla.
Arianna è bella come il sole e si tranquillizza nelle sue piccole abitudini, che le danno sicurezza e rappresentano punti di riferimento. Insieme alla mamma Marina e alla sorella Chiara, anche lei giovane donna con autismo.
La loro stabilità, costruita con tenacia da una mamma sola, è stata stravolta dal Covid. Dalla finestra della casa immersa nel verde filtra la luce esterna. Il silenzio è rotto da uno strepitio. Arianna deve uscire. Rischia di esplodere. Le tre donne si incamminano abbracciate lungo il vialetto fuori dalla porta. Sono tre dee che si cingono la vita. Simbolo di vita, guarigione e compassione. Legate indissolubilmente l’una all’altra. Si scambiano sguardi e sorrisi illuminati da un fascio di luce. La giornata non è delle migliori, ma l’aria purifica. La crisi è stata contenuta grazie alla breve uscita.
Mamma Marina ha dovuto portarle in auto, giorni fa, per mostrare loro che tutto fosse chiuso. Inaccessibile. Che non era un dispetto o una cattiveria, ma una necessità. La casa di queste tre donne è diventata un fortino. L’assistenza domiciliare è necessaria, ma Marina teme che qualcuno tra gli operatori possa essere positivo. Chiede che vengano fatti tamponi settimanali ad ognuno di loro prima di entrare.
Mantenere le distanze, in questi casi, non è possibile. Chiara e Arianna sono due estensioni della loro madre, la toccano, la baciano di continuo, tendono le braccia come bambine in cerca di calore. Se una solo di loro fosse positiva – dice Marina – a ruota lo sarebbero tutte e tre. Loro sono tre donne in una, con la forza delle divinità ed il mistero dei miti.
Mamma Marina è preoccupata. Come si fa se una delle sue figlie dovesse avere bisogno di ricovero? Sola non potrebbe stare, dice. Avrebbe bisogno di lei, della sorella. Un esperimento simile è già attivo in un reparto di Milano. Lei lo sa. E chiede. E spera. E prega. “Perché – dice – questi ragazzi buoni da soli non ci sanno stare. Bisognerebbe legarli”.
Eh no. Sono scene che non possiamo neanche immaginare. E che non vorremmo vedere. Non ci vorremmo neppure pensare. Ma Marina sta lì, immobile. Fissa la parete bianca e continua a ripetere: “Se una di noi tre si ammala, dobbiamo rimanere legate, essere ricoverate insieme”. Lo ripete come un mantra. Loro sono tre dee. Legate indissolubilmente l’una all’altra. Sole.
Ho mandato il tutto anche ad un amico di infanzia che è anche lui papà di un uomo autistico, Questo amico è chiaramente molto partecipe alle stesse problematiche, quindi spero che possa interagire positivamente per tutto il comparto. Saluti
Speriamo gli possa essere, se non utile, almeno di conforto.
Grazie Isabella, pensa che Gabriele La Porta, che era un mio caro amico e mentore (è stato lui a spingermi a scrivere), ci chiamava triade botticelliana di emanazione interiorizzazione e donazione. È una sincronicità particolare questa del tuo articolo del modo in cui Gabriele è stato noi vicino con la sua cultura definendoci una dell’incarnazione del femminile sulla terra. Lo faceva per sollevarmi, non lo dimenticherò mai e sono commossa di avere incontrato un’altra giornalista, come lui, sensibile, colta, profonda: tu. Grazie. MarinAriannaChar
Cara Marina, grazie a voi per avermi dato la possibilità di raccontarvi. L’immagine di voi tre abbracciate, mentre camminate, mi ha ispirato… evidentemente la vostra bellezza e la luce che emanate hanno fatto lo stesso effetto ad un Grande Giornalista, al quale è un onore essere accomunata. Grazie per le bellissime parole. Un abbraccio a voi tre, dee.