“Ciao a tutti!”. La voce metallica esce da un grande pulsante verde chiuso in una scatola: lo strumento con cui Simone dà il benvenuto nella sua stanza del settimo piano di un palazzo popolare sulla Tiburtina, a Roma.

Simone ha 22 anni. Da otto non esce dalla sua stanza. Ha una disabilità gravissima, non parla, è allettato e non può neppure respirare da solo. Ad accudirlo, notte e giorno, c’è mamma Sara, vedova. Ha dovuto lasciare tre lavori per non mettere suo figlio in un istituto di cura e seguirlo. Dopo diverse cause e battaglie, la mamma di Simone ha ottenuto l’assistenza ogni mattina (esclusa la domenica) e due notti a settimana. Al calar del sole, Sara veglia in un lettino vicino al figlio, che proprio la notte ha crisi respiratorie e ha bisogno di supporto. Più volte lo ha rianimato e riportato in vita lei stessa. Recupera qualche ora di sonno solo quando, con suo figlio, c’è qualcuno di cui si fida ciecamente: poche persone, tra cui “nonna”, la fisioterapista del suo ragazzo da dieci anni, che non fa che ripetere: “Quanto è dolce e buono!”.

Malgrado la casa popolare, l’assegno del Comune e quello di accompagnamento, l’assistenza mattutina e due notti a settimana, Sara è stremata. Le si accavallano le parole, apre lo sportello di un mobile invece di un altro, dimentica le cose. Ma lei sorride sempre. Solo chi non dorme sa quanto la mancanza di sonno possa logorare e sconvolgere. Sara non abbandona un attimo il suo Simone, che si esprime con dei

lunghi e dolci mugugni, sembra guardarla negli occhi e trasmetterle tutto il suo amore dal fondo dello sguardo. Eppure Simone non ci vede, sente il cuore di chi veglia sempre su di lui e riconosce il suono melodico della voce della sua mamma, calma e dedita ad ogni sua richiesta. Sara e Simone hanno codici tutti loro: se lui congiunge le mani vuol dire che si sta comportando da bravo ragazzo. Se fa un suono prolungato e monocorde, vuole stare al centro dell’attenzione. Poi ad un certo punto si stufa. Tutti fuori.

La stanza di Simone sembra un’infermeria: ovunque, ci sono cassetti traboccanti di medicinali, pannolini, strumenti medici per ogni necessità, sacche con liquidi. Tutto perfettamente ordinato, vicino ai giocattoli che il ragazzo ha forse usato un tempo.

“La mia assistenza è continua – racconta Sara – non mi posso mai allontanare. Ho dovuto lasciare tutto. Faccio una vita agli arresti domiciliari e non posso più lavorare, vedere gente, uscire… è una non vita la mia. Io vivo per far vivere lui”. Mi guarda senza parlare e mi ammutolisce. Quanto amore e quanta disperazione in così poche parole.

Dietro ad un pannello, l’ingegnosa mamma ha costruito una minuscola cucina: un’opera ingegneristica low cost, con piccole pareti di legno rivestite di carta da parati, due piccoli lavabi e la macchina del gas.

Mentre mi prepara un orzo squisito, le chiedo cosa ne pensi dei venti milioni di euro stanziati per i familiari che vivono con persone non autosufficienti: “E’ un piccolo passo avanti – risponde, ma subito il suo tono dolce si trasforma in una specie di ringhio – il cosiddetto caregiver familiare (il parente che si occupa della persona non autonoma) è una figura estremamente fragile. La mia paura è che venga usata. Il familiare che si occupa di una persona gravemente malata in casa ha bisogno di tutela: della salute, innanzitutto, perché è provato che vive meno e si ammala di più. Assiste h24 da solo e non ce la fa. E, quando non ce la fa, è in pericolo anche il malato, perché non riceve un’assistenza adeguata”.

E’ chiaro che la donna parli per esperienza, peraltro approfondita nel suo blog. Beviamo l’orzo vicino al pannello che separa la zona del cucinino dal piccolo soggiorno. Le chiedo sottovoce, a bruciapelo: “Cosa immagini per il tuo futuro?”. E’ una domanda da donna a donna. Lei mi guarda fissa e con tono forte risponde: “A Pasquetta pensavo di aver perso Simone. Era la fine anche della mia vita. Io ho vissuto per lui fino ad oggi”.

Sara vive in ristrettezze e di aiuti, anche di sporadiche persone generose, della Caritas. Non tutte le medicine che Simone assume vengono passate, così alcune case farmaceutiche le regalano degli antidolorifici. “La generosità vera esiste”, esclama felice con gli occhi che le brillano.

“Hai visto la mia auto di sotto? Quella senza vetri, con la plastica”, mi

chiede ridendo. “No, non ci ho fatto caso”, le rispondo. “Ecco, se ricevo un aiuto lo uso tutto per Simone. Quella la tengo così”. “Sara, quanto costa cambiare i vetri?”, le chiedo. “Non lo so – sorride lei – non ho neppure mai chiesto”. “Mi piacerebbe poterteli far cambiare io. Conosco un bravo carrozziere che mi farà un buon prezzo”, le propongo. Ma lei non risponde. Mi guarda quasi imbarazzata. “Come posso aiutarti?”, le chiedo.

Mi guarda, abbassa gli occhi e, quasi vergognandosene, mi dice: “Sai, se potessi dormire un po’ di più potrei essere più di aiuto a mio figlio e sentirmi meglio”. “Quanto costa l’assistenza notturna?”, le chiedo. “Dalle 22 alle 8 del mattino, 150 euro. Ma deve venire una brava, che lo conosca e che lo sappia rianimare”.

Sara non sa se Simone supererà l’inverno. Se prendesse l’influenza, non sopravviverebbe. Fare il vaccino può essere pericoloso. Allora io non voglio perdere tempo e vi chiedo, tutti insieme, di dare un aiuto a questa donna. Quello che potete, quello che sentite. Non servirà solo a darle qualche ora di sonno in più, ma anche a non farla sentire sola.

P.S.: Siamo recentemente andati a salutare Mamma Sara  e Simone, insieme al fondatore della Scuola Italiana di Nordic Walking Fabio Moretti. In quell’occasione abbiamo realizzato un video amatoriale per ringraziare le persone intervenute fino a quel momento, dalle donazioni più generose a quelle più piccine, che hanno commosso Sara. Sulla mia pagina Facebook troverete il video (purtroppo non sono riuscita a caricarlo qui, perché troppo pesante) rivolto anche ai camminatori che hanno partecipato alle attività per Sara  e Simone (raggiungendo la cifra di 1.495 euro), nelle due settimane precedenti al Natale. Grazie di cuore a tutti!

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Isabella Schiavone

Giornalista professionista, scrittrice, istruttrice Mindfulness. Da luglio 2022 vice caporedattrice presso Rai Sport. Dal 2002 a giugno 2022 al Tg1, prima ad Uno Mattina, poi come inviata a Tv7 - Speciali, infine nella redazione Ambiente - Società - Sport come caposervizio.

Appassionata di inchieste sociali, ambientali e di storie di vita. Impegnata nel terzo settore.

Sono laureata in Sociologia a La Sapienza di Roma, specializzata in Giornalismo alla Luiss Guido Carli. Ho frequentato un corso di perfezionamento per inviati in aree di crisi della Fondazione Cutuli, che mi ha portato in Libano e in Kosovo embedded.

Ho iniziato a lavorare presto nelle radio e nelle tv locali, ho scritto per l'Ansaweb, per Redattore Sociale e per il Gruppo L'Espresso, mossa anche dalla passione per la multimedialità e l'online. Ho avuto il primo contratto in Rai al Giornale Radio, ho lavorato nella redazione Esteri del Tg2 e a Rai Educational, quando ero ancora universitaria.

Ho condotto la rubrica Tendenze del Tg1. 

Ho vinto il Premio Luchetta Hrovatin nel 2006, con un'inchiesta sulla droga a Scampia andata in onda a Tv7 - Speciali Tg1. Ho ricevuto nel 2016 il Premio Pentapolis - Giornalisti per la Sostenibilità, in collaborazione con Ispra, Ministero dell'Ambiente, Lumsa e FNSI. A maggio 2017 un mio servizio andato in onda al Tg1, sul riconoscimento delle unioni civili, è stato premiato da Diversity Media Awards, grazie al lavoro dell'Osservatorio di Pavia, come miglior servizio andato in onda sulla diversità. A settembre 2018 ho ricevuto il Premio Responsabilità Sociale Amato Lamberti nella categoria giornalismo. A maggio 2019 un mio servizio sull’autismo è stato candidato ai Diversity Media Awards. Da maggio 2022 sono Ambasciatrice Telefono Rosa per il mio impegno in difesa dei diritti delle donne e a sostegno dei minori. 

Amo e frequento l’Africa, dove ho realizzato due documentari autoprodotti, di cui uno girato con lo smartphone (quando ancora non aveva neanche lo zoom), andati in onda su Rai Uno.

A giugno 2017 è uscito il mio romanzo d'esordio, proposto al Premio Strega 2018, Lunavulcano (Lastaria Edizioni), i cui diritti d'autore sono devoluti in beneficenza in Africa. A settembre 2017 Lunavulcano ha vinto il Premio "Un libro per il cinema", dedicato alla memoria di Paolo Villaggio, organizzato dall'Isola del Cinema di Roma.

A settembre 2020 è uscito Fiori di Mango (Lastaria Edizioni), proposto al Premio Strega 2021.

Ho insegnato "Teoria e tecnica del giornalismo televisivo" all'Università di Tor Vergata e ho ricoperto il ruolo di docente, per i giornalisti, nel processo di digitalizzazione del Tg1.

Sono Istruttrice Mindfulness (o pratica dell'attenzione consapevole) e protocollo Mbsr (Mindfulness Based Stress Reduction) con diploma rilasciato da Sapienza Università di Roma e dal Center for Mindfulness della University of California of San Diego, nell'ambito del Master universitario di II livello "Mindfulness: pratica, clinica e neuroscienze" (110 e lode). Pratico meditazione Vipassana dal 2013 con Neva Papachristou e Corrado Pensa presso l'Ameco di Roma, con esperienze di intensivi e ritiri residenziali. Dal 2019 pratico anche il Tai Chi Chuan stile Yang.  Conduco gruppi di meditazione in presenza e online.