La incontriamo a casa sua, vicino a Napoli, a poca distanza dal trapianto di cuore. Appena tornata dall’Ospedale Monaldi di Napoli, la dodicenne Chiara ha rivendicato la propria indipendenza chiedendo un piccolo frigo bar tutto per se’, nella sua cameretta.
Detto, fatto. Bevande fresche a disposizione: succhi di frutta, acqua minerale… per mandare giù un numero indefinito di medicine. Chiara è pignola, da brava studentessa con quasi la media del 9: ha un programma dettagliato con su scritto orari di somministrazione delle medicine. Se sgarra, anche solo di venti minuti, chiama i medici.
Tanto, oramai, sono amici. Gente di famiglia. “Sembrano loro figli, i bambini”, dice il papà di Chiara, parlando dei dottori.
Era la fine di luglio, quando Chiara, esasperata da 100 giorni di attesa per un nuovo cuore, aveva scritto una lettera, pubblicata da Il Mattino: “Vorrei andare a casa, vorrei tornare a ridere come prima o meglio di prima – scriveva la bambina – e per farlo ho bisogno del vostro aiuto”. Anche il Tg1 ha accolto il suo appello (ho avuto l’onore di raccontare questa storia delicata in un servizio: http://www.youtube.com/watch?v=-4hqwGQVs9w) e forse ha smosso qualche coscienza. I donatori in Italia sono pochi, troppo pochi.
Due giorni dopo, arriva il cuore adatto. Grande festa in casa Campagnuolo ed anche nella redazione Società del Tg1. L’attesa è stata di molto inferiore alla media. Quattro mesi. Per i 27 interventi pediatrici del 2012, ce ne sono voluti 23, prima di ricevere gli organi. Chiara è stata fortunata: il suo peso, di 50 Kg, le ha consentito di accogliere il cuore di una ragazza di 20 anni. All’Ospedale Monaldi, c’è ancora Imma, da un anno. Ma Imma è magrolina, e aspetta il cuore adatto alla sua corporatura esile…
La felicità e la gratitudine, in casa Campagnuolo, inebriano l’aria. Chiara deve stare sotto controllo per sei mesi, certo, ma è a casa con tutta la famiglia. E sta bene. Ora i genitori vorrebbero fare qualcosa per la piccola Imma. Oltre ad aspettare un cuore nuovo, è anche rimasta sola in ospedale.
Per questo mi chiamano. Per fare in modo che si parli del problema trapianti in Italia. Quando capita una disgrazia, nessuno di noi pensa al fatto che si possa far vivere qualcun altro con i nostri organi o con quelli dei nostri cari. C’è troppo dolore in quei momenti. Troppa sofferenza.
Lo spiega la mamma di Chiara, con la voce strozzata dal pianto: “Chiara è dolce… è felice… è grazie alla persona che ha donato che mia figlia è qui”. Nata due volte, Chiara.
Io, intanto, scrivo su un bel foglio bianco le mie intenzioni. Non si sa mai.