Arsenico, cromo, cadmio oltre i limiti di legge. Scie colorate lungo i muri, davanti alle case di Piano D’Orta, in Abruzzo. Murales al veleno, proprio sotto a dove giocano i bambini. Concentrati di metalli pesanti, scorie di produzione degli anni ’40 e ’50, che venivano sotterrate fino agli anni ’60.
E’ ‘solo’ la strada per arrivare a Bussi, 100 anni di chimica, che hanno lasciato un ricordo indelebile nell’ambiente e nella popolazione. Un polo industriale nato nel 1902. Negli anni ’30, qui si producevano anche armi chimiche, come l’iprite.
Per decenni, sono stati sversati veleni direttamente nel fiume. Le scorie sono state sotterrate: mercurio, esacloretano, diossina. Ancora non c’è uno studio epidemiologico, quindi ancora non si sa se ci siano, e quali siano, i danni sulla salute delle persone. Di certo c’è che le prime due sostanze sono cancerogene e alterano il sistema nervoso. La diossina, invece, è una sostanza tossica che altera il sistema endocrino, soprattutto femminile: “E’ collegata ad una malattia chiamata endometriosi – afferma Donatella Caserta, de La Sapienza di Roma – che provoca alterazioni nella fertilità”.
Sostanze che arrivano dalla discarica di Bussi e vanno a finire nel mare, anche in quello di Pescara. Tutta l’acqua che scorre nell’Abruzzo interno, passa per le gole tra il Parco della Maiella e il Gran Sasso: un punto nevralgico del sistema ambientale dell’Appennino. Lo stesso punto, in cui l’acqua incontra la parte inquinata e la porta verso valle, verso Pescara.
Nel 2007 sono stati sequestrati diversi ettari del polo industriale di Bussi: 2 milioni di metri cubi di materiale inquinato e contaminato. Pozzi a valle del sito chiusi, perchè contaminati. Danni di 8 miliardi di euro stimati dall’Ispra. Diciannove persone rinviate a giudizio, in Corte d’Assise, per disastro ambientale e avvelenamento di acque destinate al consumo umano (il WWF è parte civile).
E un triste primato: uno dei siti più inquinati d’Italia e d’Europa.