Due ragazzi di 26 anni in questa settimana hanno attirato la mia attenzione. Diana Biondi, la terza studentessa che si toglie la vita dall’inizio dell’anno in Italia, e Edoardo Franco, vincitore della dodicesima edizione di Masterchef.
Performance, perfezionismo, senso di fallimento e di inadeguatezza permeano entrambe le situazioni, in modo diverso (e qui intendo ragionarne in modo non giudicante).
Diana si è lanciata nel vuoto, lasciando dietro di sé un immenso dolore. Aveva paura di deludere le aspettative della società e di chi la amava: aveva annunciato la data della laurea, quando invece le mancava ancora un esame. Non ha retto alla pressione di un presunto fallimento (forse prima di tutto con se stessa, non lo sappiamo), di una presunta delusione che avrebbe dato alle persone intorno a lei.
Edoardo ha vinto Masterchef ricordando in ogni momento con grande naturalezza di essere fuori: fuori dal coro, “fuori corso”, fuori da quei percorsi standard di chi sa già cosa sarà della sua vita. Un ragazzo in cui si sono riconosciuti gli “strani”, i “perdenti”, quelli su cui nessuno punterebbe granché.
“Basta. Parliamoci, guardiamoci, aiutiamoci – hanno detto i colleghi universitari di Diana della Federico II di Napoli – sta diventando straziante. Quanti altri ragazzi dovremo salutare prematuramente prima che qualcosa cambi davvero? “.
E parlare, aiutare, incoraggiare è quello che ha fatto Edoardo nella masterclass televisiva, che è sempre più una scuola di vita prima ancora che di cucina. Ha messo avanti il suo cuore davanti a tutto, incitando sempre gli altri concorrenti, spronandoli, donando se stesso in ogni momento, senza pregiudizi e senza retorica.
Molti giovani di oggi sono schiacciati da un modello che non perdona e non accetta il fallimento. L’ingresso nel mercato del lavoro è sempre più esigente, vengono richieste performance sempre più elevate, i ritmi sono sempre più sfrenati ed incuranti dei tempi di vita. Talvolta chi non ce la fa è assalito da un senso di inadeguatezza che non trova spazio di accoglienza e comprensione. Chi non regge la pressione condanna se stesso e si giudica senza via di scampo (senza mettere in discussione il sistema che lo ha messo in quelle condizioni).
E poi, la narrazione del merito. Non c’è spazio per altri racconti. Non si considera mai la fragilità come parte della vita. Potenzialità da sviluppare. Momento per riflettere o per fare una pausa. Tutto, subito, in modo perfetto e secondo il modello dominante, rispettando tabelle di marcia precostituite. Senza respirare. Senza tempo per se stessi, per conoscersi, per stare con quello che c’è e non con quello che dovrebbe esserci. In apnea.
Edoardo ha rotto gli schemi. Ha reso la propria fragilità un cavallo di battaglia. Il suo non saper bene che ruolo avere nel mondo, la sua forza. Scuola alberghiera, cameriere, barman, rider per la consegna del cibo a domicilio in giro per l’Europa. Una persona percepita come fuori dai canoni, a leggere i commenti sui social. Canoni estetici, canoni di vita. Fuori dalla logica della performance ad ogni costo, della competizione sfrenata. Una persona spontanea, sincera, vera. Una persona che scrive: “Non abbiate paura del buio e della solitudine, perché in quei momenti troverete la vostra luce e vi renderete conto che siete voi stessi il migliore amico che avete”. Edo ha ammesso in diversi momenti la sua fallibilità in modo così naturale e sereno da aver conquistato tutti. Tutti si sono identificati in lui. Perché questo è: la fallibilità fa parte della vita e lui non si è vergognato di mostrarla. Tanto ci aveva già fatto i conti e sapeva come maneggiarla. Nel suo peregrinare tra un lavoro e l’altro, da un Paese ad un altro, forse Edoardo si è conosciuto, ha fatto esperienze che lo hanno messo in contatto con se stesso, ha capito i propri punti di forza e le proprie debolezze e ci ha fatto pace. Le ha accolte.
E’ arrivato a strappare il titolo, pur avendo avuto un percorso discontinuo all’interno del programma, mettendoci consapevolezza, cuore, passione, altruismo ed un brutto piatto (il dolce), che non corrispondeva ai propositi iniziali, ma che è riuscito comunque a presentare. Modificandolo, adattandolo all’imprevisto, abbassando l’asticella. Trasformandolo. Ed è stato quello che ha conquistato i giudici, insieme al suo modo di essere. La capacità di adattamento, l’accettazione della propria fallibilità, il dubbio continuo su se stesso. Il dolce della vittoria. Brutto, buono, trasformato, riadattato. Simbolo di fiducia nella propria essenza e nei suoi valori più profondi, che forse Edo ha potuto capire e coltivare in un percorso fuori dallo standard comune.
Ecco che sono i giudici di un programma televisivo, chef che hanno passato la vita in cucina prima che davanti alle telecamere, a suggerire una strada: valorizzare chi accetta e trasforma la caduta, rendendola parte del percorso. La parte migliore.
W la fragilità, e già che ci siamo anche ogni forma di diversità
40 anni di televisione commerciale e ora l’ idolatria degli influencer hanno portato a questo. temo che i buoi siano scappati dalla stalla, e difficilmente si potra’ tornare indietro.
🙁