“Non ce la faccio”.
Un grido di battaglia, più che una resa, quello di Mia Ceran, che lascia anzitempo (e temporaneamente) la conduzione di un programma televisivo per la difficoltà di conciliare professione e vita familiare con un figlio in arrivo.
Ad aprirle la strada era stata, qualche tempo fa, Jacinda Ardern, premier neozelandese molto amata: aveva finito la benzina nel serbatoio. Un modo garbato di parlare di burnout. Gentile come lei.
Ebbene sì, ci si può fermare nella vita, quando le condizioni economiche ce lo permettono, certo. Ma si può comunque scalare marcia, rallentare, concedersi anche solo un periodo – scelto con consapevolezza – con il freno a mano tirato per dedicarci ad altro o semplicemente riprendere fiato.
Forse, gradualmente, vicino a parole in voga come performance, multitasking o ad immagini che ci mostrano donne di potere o in vista al lavoro a poche ore dal parto (in perfetta forma peraltro) possiamo iniziare ad includere anche altro: la normalità, il considerare la complessità delle nostre esigenze, il ponderare le nostre energie e darci delle priorità.
C’è un grande inganno che questa società sta perpetrando: indurci a credere che avere ritmi più umani sia da perdenti, che non cercare a tutti i costi visibilità, potere, fama e denaro sia fallimentare.
Sarebbe poi bello che a rallentare la forsennata rincorsa fossero, ogni tanto, anche gli uomini. Non è necessario dire “non ce la faccio” per fermarsi, prendere una pausa o fare spazio ad altro. Basta semplicemente farlo e dare l’esempio che si può. E poi, magari, concedersi di aggiungere: “Non ce la faccio a non rispettarmi e a vivere in un modo che in questo momento non mi rende felice”. Scelgo me.
in un mondo normale e non impazzito questa non dovrebbe essere neanche una notizia. guai a considerare uno stop come un fallimento !
È proprio così, Guido caro.