I popoli mediterranei cominciarono ad uscire dalla barbarie quando impararono a coltivare l’olio e la vite”. Tucidide

E’ molto più di un condimento. Sublima la nostra cucina, arrivando persino a diventare il protagonista principale di un piatto. L’olio – inteso come extravergine d’oliva, imprescindibilmente – è l’oro verde italiano, vanto e patrimonio nazionale che non ha eguali nel mondo.

Amato ovunque si ami la buona cucina, non solo nell’area mediterranea che detiene il titolo di “civiltà dell’olio”, l’extravergine italiano è un prodotto di qualità, capace di regalare al gusto una piacevolezza senza confronti.
La scelta? Amplissima. Oltre trecento cultivar, spaziando nelle diverse regioni italiane, dalla Sicilia al Lago di Garda: grazie a specifici e molteplici microclimi, l’olio extravergine d’oliva italiano ha un vantaggio senza confronti, le più diverse sfumature di gusto. I nobili extravergine, insomma, si comportano come i nobili vini: in termini di abbinamento, è possibile tenere conto dei grand cru dell’olio al pari dei grand cru del vino: è una questione culturale ancor prima che un’abitudine alimentare.

Oggi il divario tra vino e olio è ancora incolmabile in termini d’informazione, ma qualcosa si sta muovendo. Complici i grandi chef, portabandiera di un sapere che sarà prima di tutto ricchezza. Poi gourmet e appassionati, a sfatare luoghi comuni e valorizzare le singole cultivar, capaci di dare extravergine attorno a cui far ruotare le pietanze più diverse.

Obiettivo più urgente, orientarsi tra nomi come Frantoio, Leccino, Moraiolo, Carboncella. E ancora, Itrana, Cima di Bitonto, Casaliva, Nocellara del Belice, Bosana. Alcune tra le molteplici cultivar nostrane, da scegliere a seconda di ciò che vogliamo da una ricetta, esaltando i nostri piatti: dai più delicati ai più robusti, passando per i più aciduli. In armonia col piatto, per il consueto matrimonio d’amore. Gli extravergine non esaltano solo le preparazioni d’impronta mediterranea: dagli antipasti ai dessert, passando per i primi, carni e pesce, senza dimenticare le salse. In tutti, riesce ad essere sorprendente. Combinato con sottili tecniche di cottura, tanti grandi chef ne hanno fatto uno dei punti di forza della loro cucina, sperimentando continuamente. Del resto, l’extravergine sapientemente utilizzato non condisce soltanto, seppur egregiamente: serve per rosolare, stufare, insaporire, amalgamare. Si inventano, cosi’, ricette che hanno al centro l’idea di esaltare le caratteristiche dei diversi tipi di olio e di cultivar di vite.

Tra i grandi cuochi di casa nostra, Moreno Cedroni è uno di questi innovatori. Con l’olio ha ideato nuovi metodi di cottura: ad esempio cuocendo il polpo a bassa temperatura nell’extravergine, per esaltarne la delicatezza della polpa. Ferran Adrià, celebre cuoco spagnolo, con l’olio ha giocato incredibilmente fino a conferirgli le consistenze più diverse: attraverso ripetuti cambiamenti di temperatura, ha ottenuto piatti destrutturati, polvere gelata, spume, gelatine calde. Grazie ad attrezzi particolari, vaporizzatori, ma soprattutto con il celebre ‘sifone’: uno chef surrealista, capace di usare l’olio come un artista che modella e plasma i suoi materiali per conferirgli la forma che ha in mente. Che già vive nella sua testa.

 Cosa manca allora alla cultura legata all’olio extravergine d’oliva, per radicarsi nella nostra mentalità, nelle nostre abitudini quotidiane? Cuciniamo con l’olio e non col burro, questo è certo: ma non possiamo dirci molto informati al riguardo, o comunque abituati ad abbinare un singolo olio – in purezza o in blend – ad una pietanza in generale. I grandi cuochi sono messaggeri di educazione culturale e gastronomica, ma il fermento e l’interesse deve riguardare le nostre tavole. Dobbiamo arrivare a saper riconoscere ed apprezzare gli extravergine, moltissimi, che l’Italia produce. Solo con la conoscenza potremo colmare le nostre scelte, scegliere in base alla qualità – in accordo col portafogli, certo – e non solo rispetto alla convenienza economica, che spesso purtroppo non coincide con la qualità.

C’è bisogno di un ragionamento che appartenga a tutti, affinchè diventi un sapere condiviso, un fatto culturale. C’è bisogno, soprattutto, di trasparenza assoluta.
Invece ci troviamo di fronte ad etichette blande, che non orientano al meglio il consumatore. A differenza che nel vino, nel quale – tra pregi e difetti – la denominazione d’origine controllata (Doc) o molto spesso garantita (Docg), funziona da faro. Un ponte tra produttore e consumatore.

Serve insomma che il disciplinare attesti la genuinità del prodotto olio, specificando in etichetta le cultivar impiegate per produrre quell’olio, il frantoio usato, la quantità di bottiglie prodotte. E ancora, le aree di raccolta delle drupe. Tutte informazioni che incredibilmente, mancano. A svantaggio completo di noi consumatori, che fatichiamo a diventare consapevoli, rispetto al grasso vegetale più nobile di tutti. Urge un processo di qualità per il nostro extravergine, quello che è stato realizzato nel mondo del vino a partire dagli anni Sessanta. E’ necessario che i produttori rendano leggibile il loro operare, in direzione della tracciabilità totale per le diverse varietà e zone: è l’unico modo per rianimare un comparto che tra frodi, leggi insufficienti, mancata informazione e approssimazione, versa in uno stato disastroso.

L’idea è quella di percorrere le zone dello Stivale passando in rassegna le principali cultivar nazionali, cogliendone le principali caratteristiche aromatiche e gustative, declinandole nei più diversi abbinamenti.
Del resto, siamo la sola terra dove si può passare dagli olii color topazio e dolci del Sud ai verdi e vegetali toscani, dal retrogusto piccante, diverso da zona a zona – imparando a risolvere i luoghi comuni, ad esempio dire ‘olio toscano’ è generico: Toscano di dove? Del Chianti classico, Montalcino, Maremma, Lunigiana? … fino a salire ai più tenui e fruttati extravergine d’oliva liguri.